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Diffamazione e ingiuria a mezzo Facebook

Nel linguaggio corrente si sente spesso utilizzare i termini “diffamazione”, “ingiuria” e “calunnia” in modo improprio. Dal punto di vista tecnico si tratta di fattispecie ben distinte, con conseguenze specifiche. 

Querela per diffamazione 

Quanto al reato di ingiuria, esso era disciplinato dall’art. 594 c.p., che puniva con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 euro l’offesa dell’onore o del decoro di una persona presente. Deve parlarsi al passato perché il reato è stato abrogato con il D.  Lgs n. 7 del 2016 (in vigore dal 6 febbraio 2016). Attualmente l’ingiuria è un illecito civile punito con sanzioni pecuniarie civili, applicate dal giudice civile competente per l’azione di risarcimento del danno.  

Prescindendo, per ora, dalle ipotesi aggravate, il reato di diffamazione, disciplinato dall’art. 595 c.p. punisce chiunque, “fuori dei casi indicati nell’articolo precedente” (ovvero dei casi di ingiuria), comunicando con più persone, offenda l’altrui reputazione. Si tratta di reato procedibile a querela.

La calunnia è invece un delitto contro la pubblica amministrazione, procedibile d’ufficio. L’art. 368 c.p. punisce con la reclusione da due a sei anni chi, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpi di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simuli a carico di lui le tracce di un reato.  

Soffermandosi sulla diffamazione, la fattispecie è aggravata quando l’offesa consista in un fatto determinato (comma 2) e quando sia arrecata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico (comma 3). La pena prevista per la ipotesi base (comma 1) è altresì aumentata quando ad essere offeso sia un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o una sua rappresentanza o una autorità costituita in collegio (comma 4).

Diffamazione Facebook 

Quanto alla seconda ipotesi citata, è stato (anche recentemente) ribadito dalla Corte Suprema che un’offesa contenuta su una bacheca Facebook consente di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità, poiché tale modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, non contestualmente presenti.

Può essere interessante notare che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, recentissima Cass. pen., Sez. V, Sent., 19 gennaio 2023, n. 2251), il soggetto diffamato sul social network “Facebook” ha sì la possibilità di replicare alle offese, ma soltanto in un momento successivo alla pubblicazione delle stesse. Così, pronunciandosi sul discrimine tra diffamazione e ingiuria in caso di offese espresse per il tramite di piattaforme telematiche con servizio di messaggistica istantanea e comunicazione a più voci (“Google Hangouts”), la Corte di Cassazione ha chiarito che soltanto il requisito della contestualità tra comunicazione dell’offesa e recepimento della stessa da parte dell’offeso (come, appunto, nel caso di messaggistica istantanea con annesso servizio di videochiamata e chiamate cd. VoIP -voce tramite protocollo Internet) configura un’ipotesi di ingiuria.

Anche le frasi offensive pubblicate sulla pagina Facebook della persona offesa integrano il delitto di diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità (tale affermazione è stata ribadita, anche recentemente, da Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 26 gennaio 2023, n. 3453). È, infatti, orientamento costante della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l’offesa diretta a una persona “distante” costituisca ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avvenga, esclusivamente, tra autore e destinatario (Cass. pen., Sez. 5, n. 13252 del 04 marzo 2021, Viviano, Rv. 280814).

La conclusione deriva da quanto già accennato: la natura pacificamente pubblica della bacheca Facebook consente di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata proprio perché questa modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone (non contestualmente presenti).

Il delitto di diffamazione realizzato tramite il web ha natura di reato istantaneo di evento, che si consuma nel momento in cui la frase o l’immagine lesiva diventa fruibile da parte di terzi, con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione, senza che abbia rilievo il prolungarsi della lesione del bene giuridico protetto dalla norma, trattandosi di evenienza che non incide sulla struttura del reato, trasformandolo in reato permanente.

Quanto alla competenza territoriale, nei casi in cui sia prospettata l’offesa alla reputazione altrui via internet, essendo difficilmente utilizzabili criteri oggettivi univoci, quali, ad esempio quello della prima pubblicazione della comunicazione offensiva o della immissione della notizia nella rete, o ancora dell’accesso del primo visitatore, si ricorre ai criteri suppletivi di cui all’art. 9, co. 2, c.p.p., per cui, se non è noto il luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato.

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