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Peculato Militare

L’art. 215 c.p.m.p. punisce con la reclusione da due a dieci anni la condotta del militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente all’amministrazione militare, se ne appropri, [ovvero lo distragga a profitto proprio o di altri]. Il secondo comma, in vigore dal 30 dicembre 2022, esclude l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.

La norma trova un suo speculare riferimento nell’ordinamento ordinario: l’art. 314 c.p. punisce, infatti, con la pena della reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropri. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole abbia agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, sia stata immediatamente restituita (cd. peculato d’uso).

La L. n. 86 del 1990 (Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) ha modificato l’art. 314 c.p., abolendo, tra l’altro, il peculato per distrazione, disciplinando il cd. peculato d’uso ed introducendo una circostanza attenuante speciale, il tutto senza alcun intervento sull’art. 215 c.p.m.p.

Così, sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma, limitatamente all’ipotesi del peculato militare per distrazione, a fronte della disparità di trattamento rispetto alle analoghe condotte dei pubblici ufficiali civili, la Corte costituzionale (con sentenza n. 448 del 1991) ha restituito al sistema il suo equilibrio, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 215 c.p.m.p., limitatamente alle parole: “ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri”.

La Consulta è stata poi nuovamente chiamata ad intervenire sulla norma (con sentenza, n. 286 del 2008) in quanto sanzionare il peculato d’uso militare assoggettandolo alla stessa pena dettata per il peculato, determinava, rispetto alla disciplina dettata per il peculato d’uso una evidente disparità di trattamento. È stata così affermata l’illegittimità costituzionale dell’art. 215 c.p.c.m. nella parte in cui si riferisce anche al militare che abbia agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e, dopo l’uso momentaneo, l’abbia immediatamente restituita (nonché dell’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, nella parte in cui si riferisce al militare della Guardia di finanza che abbia agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e, dopo l’uso momentaneo, l’abbia immediatamente restituita).

La Corte costituzionale (Corte cost., ord., 28 luglio 2000, n. 402) ha invece dichiarato la manifesta infondatezza della questione relativa alla mancata previsione del peculato militare tra le fattispecie contemplate dall’art 323 bis c.p., circostanza attenuante speciale riferita a singole figure di reato comune, volta a mitigare il trattamento sanzionatorio della fattispecie, nei casi in cui la carica offensiva del singolo episodio si riveli modesta. In tal sede è stato rilevato che la pronuncia additiva che il rimettente sollecitava, volta ad estendere la circostanza attenuante anche al reato militare, avrebbe ripristinato l’originario sbilanciamento “in melius” a favore del peculato militare, punito con una pena più mite.

La Riforma Cartabia ha poi recentemente escluso, con l’introduzione di un secondo comma, l’applicazione dell’istituto che prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. In mancanza di una simile previsione, l’estensione quoad poenam del generale ambito di applicabilità dell’art. 131-bis c.p. da parte della Riforma ne avrebbe, infatti, consentito l’applicazione (essendo prevista per reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni).

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